– Il presente articolo è stato rivisto un anno dopo la pubblicazione, nel mese di giugno 2020, alla luce dei fatti accaduti a livello internazionale, ndr –
La 58° Biennale di Venezia si è aperta con un titolo, che almeno nelle intenzioni del curatore Ralph Rugoff, è augurio a tempi migliori. May you live in interesting time… O forse no?
L’arte può far vivere di certo tempi interessanti ma, ci chiediamo noi, può rendere il tempo attuale davvero interessante?
Questo augurio va raccolto e interpretato, certo è che, anche solo a pochi mesi di distanza, quello che stiamo vivendo non è ciò che potevamo immaginare. Nonostante questo, fuor di dubbio interessante.
I fatti di oggi ci proiettano, dritti dritti, a immaginare come sarà la prossima Biennale di Venezia e mettere a confronto la biennale pre e la biennale post pandemia.
Ma ora pensiamo a quella in corso, che è ricca di proposte cosi come di polemiche, e non potrebbe essere altrimenti.
Meritatissima a parer nostro la vittoria della Lituania che con un po’ di Sole e Mare, non certo scontato da quelle parti, (andate a scovare il progetto Sun&Sea di Stephanie Rosenthal) ha fatto vedere qualcosa che dal nord europa non ci saremmo mai aspettati. Corale, potente e decisamente interessante.
Oltre alla repubblica baltica anche altri stati han fatto segnare una tacca di qualità e ‘cura’ nel senso più alto del termine ma per una volta e per fortuna non i soliti.
Decisamente sottotono le proposte di Germania, Gran Bretagna e Italia, la prima ancora galvanizzata dalla bellissima azione di Anne Imhof del biennio precedente che gli era valsa il Leone d’Oro, propone un allestimento di Natascha Süder Happelmann a cura di Franciska Zólyom, scenografico ma poco di più. Delicata anche la biennale dell’inglese Cathy Wilkes, ma non credo di sbagliarmi a dire che la dimenticheremo presto. Per quanto riguarda il belpaese, anch’esso scosso nel 2017 dalle magie di Cecilia Alemani con il suo trio di artisti ‘dark magic’ si perde letteralmente in un labirinto e se i muri e gli allestimenti pesano più delle opere, Milovan Farronato finisce per annoiare un bel pò.
Non tutto è perduto però, tra le grandi nazioni la Francia tiene alto il vessillo dei ‘founders’ con un bel mondo creato da Laure Prouvost. Per chi ha avuto modo di vedere il suo allestimento di qualche anno fa in Hangar Bicocca, sa di cosa parlo.
Invece piacevolissime sorprese quelle di alcuni stati che solitamente sono meno in vista. Il mondo orrorifico creato dal Belgio, certamente fa venir voglia di farci un viaggio. Mondo Cane il titolo del progetto degli artisti Jos de Gruyter e Harald Thys che mettono in scena un museo folk, popolato da personaggi meccanizzati a grandezza reale, ognuno con la sua storia da incubo.
Un’altra menzione va fatta al Ghana, neo ammesso di questa biennale che presenta un bel percorso sulla libertà e infine a noi è piaciuto moltissimo il progetto Swinguerra proposto dai due artisti brasiliani: Bárbara Wagner & Benjamin de Burca.
Ma la Biennale di Venezia è innanzitutto la grande mostra internazionale e Rugoff ha fatto un buon lavoro. La ricerca dell’interessante passa in primis dalla proposta di due percorsi A e B per i due spazi allestiti (Arsenale e Padiglione centrale dei giardini) stessi artisti che nelle due sedi propongono due opere differenti, questo diktat curatoriale funziona e piace. Potremmo passar molto tempo a raccontare un po’ di lavori ma noi di CTRL preferiamo in questo caso far parlare le immagini.
Solo un appunto, non perdetevi il Leone d’oro alla carriera Jimmy Durham. Buona visione.