Io ho veduto degli orsi nel mio paese,
e non ho veduto degli uomini che nell’Eldorado.
(Voltaire, Candido, o l’ottimismo)
1. Antefatto
Due uomini parlottano a bassa voce in un fuoristrada mentre abbassano i giri del motore finché il rombo non si spegne nella notte. Sono anni che girano questi boschi, sono anni che imbracciano fucili, ma l’eccitazione della prima volta non è ancora consumata dall’esperienza. Anton Marincic e Marko Jonozovič sono fermi ai confini di una radura della riserva di caccia di Jelen-Sneznik; attorno a loro il silenzio del bosco è coperto solo dal frinire dei grilli. Lo sterrato alle loro spalle scricchiola mentre appaiono due fasci di luce che scorrono sugli abeti e sui faggi dinarici. È l’autocarro degli italiani. Marincic, un uomo nel vigore degli anni, dai tratti marcatamente slavi ma dai modi mediterranei, ripensa al primo incontro con quello strano gruppo. Si sono presentati qualche anno prima, pieni di progetti ambiziosi e di buoni propositi. Col tempo, si è sviluppato un rapporto di fiducia tra la sua équipe e quella italiana. Tra alcuni membri sono nate anche sincere amicizie. Ma il mattino dopo i sentimenti conteranno poco. Sarà un giorno decisivo in cui anni di preparazione daranno un esito secco: il successo o il fallimento. Potrà contare sulle sue forze? Avranno tutti la presenza di spirito necessaria? E, in fondo, perché porsi queste domande? Del resto tutto è frutto della mano dell’uomo, anche questa riserva, anche questa immensa distesa di alberi. Oggi sta all’uomo mantenere gli ecosistemi che lui stesso ha creato, o come dice Marincic: “l’uomo non può pretendere di proteggere la natura lasciandola agire liberamente”.
Il mattino dopo il bosco è avvolto da una luce accecante. Gli italiani sono tre: Andrea Mustoni, biologo, Edoardo Lattuada e Cristina Fraquelli, veterinari. Toccherà agli sloveni sparare. Le due équipe costeggiano il carnaio circolare, attraversano la radura e si rifugiano sulle altane che ne circondano il perimetro. Il sole è già alto quando si sentono i primi bramiti. Il laccio di Aldrich si è dimostrato, ancora una volta, uno strumento semplice e affidabile. Marincic stringe gli occhi per inquadrare meglio la scena. Vede l’orso divincolarsi mentre cerca di liberare il carpo superiore dalla trappola. Ormai non può più sfuggirgli. Insieme a Jonozovič scende dall’altana e, con passo calmo e il volto irrigidito dalla concentrazione, si avvicina. È grosso, ma non è lontanamente paragonabile al mastodonte che aveva incrociato a Medved-Kocevje. Si può fare. Guarda Jonozovič che è già pronto a sparare, ma con un gesto autorevole gli fa segno di aspettare. Imbraccia il fucile, misura il respiro ed esplode un colpo dal suo sparasiringhe. Mentre al suo sparo fa eco quello di Jonozovič, Marincic si rilassa e smette di controllare il respiro. Ora è tempo di tirare fuori lo spumante e brindare al successo.
L’orso pesa 99 chilogrammi, ha tra i tre e i quattro anni ed è in ottime condizioni di salute. Viene dichiarato idoneo per il trasferimento in Italia. Mentre Marincic versa il Brut nel bicchiere dei presenti e abbraccia i colleghi italiani, Jonozovič si ferma a riflettere sul suo collega. Ha un portamento austroungarico, quasi da personaggio rothiano, ma su quel substrato si sono posati i rivolgimenti politici del suo paese. Sul volto di Marincic si vedono i sedimenti della Jugoslavia di Tito e si legge il futuro della Slovenia come membro dell’Unione Europea. È un disallineato che non ha riserve nel collaborare con chiunque dimostri il suo amore e il suo rispetto per i boschi a cui ha dedicato la vita. Quel giorno è intimamente felice. L’orso andrà a ripopolare le montagne del Trentino. Questo è il destino di Masùn, l’animale che hanno preso quel giorno, e battezzato col nome della radura dov’è stato catturato. Sarà trasferito nella Val di Tovel, munito di collare radio e osservato finché non sarà accertata la riuscita della sua introduzione nell’habitat trentino. Questo è il destino che sarà condiviso da altri nove compagni.
2. Prologo, o di come Déodat Dolomieu scopre le Dolomiti mentre gli orsi iniziano a scomparire.
Sul finire del mese di giugno del 1750 nacque nel Delfinato il figlio del marchese di Gratet. Gli diedero il nome di Déodat e, il giorno del suo terzo compleanno, fu iscritto all’Ordine dei Cavalieri di Malta. Questa decisione comportava due cose: avrebbe fatto vita da militare e, facendo vita da militare, avrebbe viaggiato molto. Nel corso della sua carriera Déodat Guy Silvain Tancrède Gratet de Dolomieu, questo il suo nome completo, compirà studi di chimica e di scienze naturali per rivolgersi infine alla geologia. Il padre che lo avrebbe voluto generale del Re di Francia, gli concesse di dedicarsi agli studi universitari a patto che entrasse in servizio come cavaliere di Malta. Raggiunto questo compromesso, de Dolomieu iniziò a viaggiare interessandosi più al salnitro della Bretagna, all’arsenopirite del Portogallo e al granito dei Pirenei che non al mestiere delle armi. Infine si congedò per dedicarsi solo alla scienza e fuggì in Italia. Qui si calò nell’Etna, descrisse con precisione mai raggiunta prima gli effetti dei terremoti e la resistenza delle abitazioni alle onde sismiche. Nel 1789, mentre sedeva in un’osteria di Roma, lo raggiunse una lettera in cui gli veniva data una funebre notizia: quasi tutti i suoi parenti erano caduti vittime dei primi moti della Rivoluzione. In quegli stessi anni, un’altra Rivoluzione, quella industriale, sta muovendo i suoi primi passi e con essa la deforestazione. Alcuni mesi dopo la morte dei parenti, Dolomieu è tra le Alpi del Tirolo — ai tempi dette Monti Pallidi — e mentre passa per l’Alpe di Siusi riconosce un genere di roccia calcarea che aveva già notato in alcuni palazzi di Roma. Gli abitanti del posto la chiamano “occhio di gatto”, la curiosità scientifica di Dolomieu lo porta a sottoporla a diversi esami chimici: scoprirà che quel minerale è fosforescente per collisione e quasi inerte agli acidi; ne invierà dei campioni al collega svizzero Nicolas Théodore de Saussure. Fu Saussure, in una lettera del 1792, a dare a quello strano minerale il nome di dolomia. Bisognerà aspettare fino al 1918 perché il nome del minerale battezzi anche parte delle Alpi orientali italiane.
Intanto Dolomieu torna in Francia, tenta di rincasare nel castello del padre, ma si ritrova spogliato di ogni possedimento. Per vivere comincia ad insegnare, fa una carriera fulminea e diventa Ingegnere minerario all’École nationale supérieure de mines. Ormai prossimo alla pensione, viene convinto da un amico chimico ad imbarcarsi per una destinazione segreta, una Eldorado di minerali mai studiati prima. Il 19 maggio 1798, a Tolone, sale su una delle 300 navi da guerra sotto il comando del Primo Console, Napoleone Bonaparte. Arrivato in Egitto, sopravvive a innumerevoli scontri a fuoco, ma non riesce a concentrarsi sugli studi; troppo preso a salvarsi la vita. Sulla via del ritorno naufraga poco lontano dalle coste della Calabria, viene preso prigioniero dall’Ordine di Malta, che aveva disertato anni prima. La prigionia dura due anni, interamente trascorsi nelle carceri di Messina. A salvarlo è Napoleone. Quando conquista l’Italia e cede il Regno di Napoli ai Borbone, il Primo Console fa scrivere in una clausola che Dolomieu sia liberato. Malato, provato dalla prigionia e dalle torture ripara dall’unico parente in vita, una sorella nascosta tra le Alpi del Delfinato. Qui muore poco dopo, trascrivendo la sua ultima opera. Negli stessi anni in cui Dolomieu ha attraversato la Terra e negli stessi luoghi dove ha scoperto la dolomia, sono attestate le prime estinzioni locali di una specie animale che ha convissuto con l’uomo almeno mezzo milione di anni e che ha le sue origini nel Pleistocene, l’ ursus arctos o orso bruno. Durante la primavera del 1790, quella in cui venne scoperta la dolomia, gli orsi scompaiono definitivamente dalla Val Pusteria.
Duecento anni dopo, l’orso bruno è quasi scomparso da tutto il Nord Italia, gli ultimi membri, che naturalisti e scienziati contemporanei hanno significativamente battezzato “popolazione relitta”, sono stati avvistati a nord e a est delle Dolomiti di Brenta. I relitti sono isolati dagli altri orsi dell’arco alpino orientale. Nel 1996 viene avviato un progetto per la tutela dell’orso bruno. Il progetto si chiama Life Ursus, è promosso dal Parco Naturale Adamello Brenta in collaborazione con la Provincia Autonoma di Trento e l’Istituto Superiore per la Ricerca Ambientale (ISPRA) e finanziato dall’Unione Europea. Nel 1997, gli scienziati coinvolti nello studio di fattibilità del Progetto Life Ursus confermano l’estinzione biologica dell’orso trentino: sono rimasti tre esemplari, ormai troppo vecchi per riprodursi.
È qui che nella primavera del 1999, in una radura dell’Alta Val di Tovel, da un Iveco Daily scende un giovane orso che scoppia di salute. Si chiama Masùn e arriva da una radura slovena dove è stato catturato qualche ora prima. A lui seguiranno Kirka, Daniza, Jože, Irma, Jurka, Vida, Gasper, Brenta e Maja. Questi dieci orsi saranno chiamati, dai responsabili del Parco Naturale Adamello Brenta, i fondatori.
3. Di come una minima popolazione di umani ha deciso il ritorno di una minima popolazione di orsi.
Nel torrido agosto 1997, il centro indagini dell’Istituto per le Ricerche e l’Analisi dell’Opinione Pubblica di Milano fa suonare 1512 telefoni tra la popolazione dell’area interessata al progetto di reintroduzione dell’orso bruno. Si tratta del sondaggio numero 97085C condotto dall’Istituto, il titolo è “Opinioni ed atteggiamenti nei confronti dell’orso nel Parco Naturale Adamello-Brenta”. I 1436 rispondenti non sono una riproduzione in scala degli abitanti dell’area, il campione è stato modificato per dare maggior peso ad alcuni soggetti: in particolare apicoltori, agricoltori e cacciatori. Nelle maglie del campionamento finisce anche Andrea Mustoni, coordinatore di Life Ursus che, credendosi vittima di uno scherzo telefonico, risponde al sondaggio fingendosi fortemente contrario alla reintroduzione dell’orso.
Con l’eccezione di Mustoni, le persone dicono sì, in massa, alla reintroduzione dell’orso. In Trentino poi, e nella zona del Brenta ancora di più, gli abitanti conoscono bene la condizione dell’orso e la sua ormai prossima estinzione e allo stesso tempo si dicono consapevoli dei rischi connessi al ritorno del più grande carnivoro d’Europa. Una sola risposta alle 23 domande formulate lascia intravedere un’increspatura: si rileva un significativo aumento del favore alla reintroduzione degli orsi se vengono garantiti interventi preventivi per gli “orsi problematici”. Un orso viene definito problematico se provoca danni, o è protagonista di interazioni uomo-orso con una frequenza tale da creare problemi economici o sociali e richiedere un immediato intervento risolutivo. L’orso lo vogliamo, ma con un radiocollare trasmittente.
L’opinione pubblica rimane quieta fino al 2002, quando avviene il primo “fatto di sangue” legato al progetto di reintroduzione. Nella notte tra il 3 e il 4 giugno succedono due cose, una in cielo e una in terra. Il telescopio della CalTech di Los Angeles avvista un oggetto transnettuniano grande come un terzo della Luna. Il planetoide viene ribattezzato Quaoar, come il Dio dei nativi Tongva che avrebbe creato gli animali e le piante danzando perché afflitto dal vuoto dell’esistenza. Poche ore dopo, nel comune di Ronzo-Chienis in Val di Gresta un orso — che secondo le ricostruzioni della scientifica potrebbe essere Masùn, Jože o Daniza — entra in una porcilaia e sbrana una scrofa e sei maialini. I giornali cominciano a discutere della possibilità del rimpatrio immediato degli orsi sloveni e la Giunta provinciale chiede che l’Istituto per le Ricerche e l’Analisi dell’Opinione Pubblica di Milano prepari una nuova indagine entro il 2003. La nuova ricerca, numerata S03150C e intitolata “Indagine conoscitiva sull’accettazione dell’orso nella Provincia di Trento”, rivela che i duemila trentini, intervistati con il criterio della randomization, conoscono il progetto Life Ursus, ne apprezzano gli obiettivi e la stragrande maggioranza correrebbe a votare favorevolmente se venisse chiesto “lei è favorevole o contrario alla permanenza degli orsi in Trentino.” Nessuno riporta gli orsi in Slovenia, restano in quella che ormai è casa loro. Negli stessi mesi il parco del Brenta effettua un’indagine tra una popolazione di potenziali turisti italiani: la permanenza dell’orso sarebbe, secondo un’altra piccola-grande maggioranza, una ragione decisiva per scegliere il parco come luogo dove passare le vacanze a fare trekking, rafting e mountain biking.
Passano nove anni e il Servizio Foreste e Faune della Provincia Autonoma dispone una nuova indagine demoscopica che sia “comparabile a quelle del 1997 e 2002”. Se simile nelle domande, questa terza ricerca è però completamente diversa dalle precedenti negli esiti. Innanzitutto, non è commissionata al famoso istituto di Milano, ma viene condotta dalla società a responsabilità limitata OGP pubblicità, con sede a Trento. Ma soprattutto, l’indagine scompare. Viene commissionata e condotta, i risultati arrivano all’amministrazione provinciale già nel marzo del 2011, ma non vengono comunicati. Nel settembre, un consigliere dell’opposizione presenta l’interrogazione 3043 dal titolo “E la consulenza sulla presenza dell’orso che fine ha fatto?”, sostenendo che l’amministrazione stia nascondendo la verità, ovvero che i trentini degli orsi ne hanno abbastanza. Solo a questo punto il presidente Lorenzo Dellai gli risponde riassumendo i risultati. Sembra vero, ora solo il 30% dei rispondenti si dice favorevole alla presenza dell’orso e la maggioranza chiede che i plantigradi si stabilizzino demograficamente. Al netto del riassunto riportato dal presidente della PAT, lo studio ad oggi è introvabile, e non sapremo mai se fu un’errata formulazione delle domande, una impropria costruzione del campione statistico o il sentimento dei trentini, particolarmente insofferente in quei giorni, a creare questa anomalia.
L’obiettivo del progetto di reintroduzione Life Ursus era che gli orsi bruni tornassero in Trentino. Si era deciso che l’orso sarebbe dovuto tornare come MPV, ovvero Minima Popolazione Vitale. Una MPV è una popolazione che ha alte probabilità di sopravvivere entro un termine ragionevole di tempo, diciamo un 99% in un lasso di 40 generazioni di orsi bruni, ovvero 1000 anni. Per divenire vitale, una minima popolazione deve raggiungere tre obiettivi. In primo luogo, deve essere demograficamente in grado di sopravvivere a cali asistematici di fertilità. In secondo luogo, deve evitare consanguineità, che è causa di malattie genetiche tali da portare all’estinzione entro alcune generazioni. Infine, deve sviluppare capacità di resilienza a fattori esterni, ovvero deve essere in grado di sopravvivere a eventi quali la scomparsa di interi boschi o l’ostilità umana. Al successo nella creazione di una MPV si lega l’area di reintroduzione. L’ MPC, il Minimo Poligono Convesso, è la superficie vitale occupata da un orso, detta anche home range. La dimensione di MPC dipende dalla qualità dell’area in cui gli animali vengono immessi. La combinazione tra lo spazio disponibile adatto alla vita dell’orso nell’area del Trentino e le necessità di raggiungere una MPV ha portato ad indicare in 50 orsi la popolazione minima.
Della popolazione dei fondatori e dei suoi discendenti sappiamo quasi tutto. Se nel mondo esistono circa 200 mila orsi bruni, gli orsi della popolazione trentina sono esposti ad un’attenzione e ad una cura paragonabile ai progetti pilota di terraformazione di Marte o della Luna, in cui team di poche decine di volontari vengono studiati in ogni dettaglio per anni.
Gli orsi non sono solo seguiti in alcuni casi con radiocollari, marche trasmittenti e rilevatori di mortalità, sono poi indirettamente tracciati con foto trappole, trappole per il pelo e prelievi di feci con successiva analisi genetica e organica. Quando sono catturati perché problematici, o curati perché feriti, vengono studiati come se fossero in laboratorio. L’enorme mole di dati raccolti dal Servizio Foreste e Faune confluisce ogni anno in un Rapporto sui Grandi Carnivori della Provincia Autonoma e viene utilizzato da ricercatori per rispondere a domande scientifiche e gestionali di grande complessità. Alcune tesi di laurea si sono occupate di valutare se la dispersione dell’orso dalla core area delle Dolomiti di Brenta sia dovuta alla densità degli orsi presenti. In altre parole, ci si è chiesti se gli orsi comincino a stare stretti e si stiano muovendo sempre di più in cerca di spazio vitale. L’analisi dei dati georeferenziati ha dimostrato l’assenza di una correlazione tra densità e mobilità. La distinzione rilevante che va considerata è tra femmine e maschi: le prime sono filopatride, ovvero tendono a rimanere costantemente nell’area dove sono nate o dove tendono a riprodursi; i secondi invece tendono a coprire maggiori distanze, principalmente per cercare nuove femmine con cui riprodursi. Considerato questo fattore, gli studi effettuati sembrano indicare che lo spazio disponibile nel Brenta non sia finito e che quindi la popolazione potrebbe anche aumentare.
4. Svolgimento, come gli orsi si sono rapidamente moltiplicati o di come la politica e i media, quando parlano di orsi, fanno il gioco dell’uomo.
Nel 1945, il CLN fonda quello che rimane il più diffuso quotidiano atesino: oggi si chiama Trentino in provincia di Trento e Alto Adige in provincia di Bolzano. È dalle colonne di questo giornale che leggiamo di come gli orsi lentamente iniziano a moltiplicarsi, alcuni uomini ne gioiscano mentre altri iniziano ad averne paura. Una sera primaverile del 2008 i guardacaccia del Cantone svizzero dei Grigioni spianano i fucili per eliminare JJ3, uno dei discendenti di Jurka, che si è imprudentemente spinto fino ai boschi di Lenzerheide. “Bum, bum. JJ3 è morto così, seguendo il triste destino del fratello maggiore Bruno, ucciso a fucilate in Baviera nel giugno del 2006” si legge nell’edizione del 16 aprile 2008. L’articolo è permeato di un certo rammarico per l’uccisione dell’orso nato in Trentino, ancora nessuno però teme l’orso. Ancora nessuno vuole che venga eliminato. E nemmeno lo temeva 1600 anni prima un tale Romeo o Remit o Romedio, un nobile di origini tirolesi che, dopo essersi recato a Roma in pellegrinaggio, stava tornando a Thaur, dove era nato. Stanco, Romeo si inerpica su un pinnacolo di roccia — dire stanco nel V secolo non è dire stanco nel XXI secolo —dove si immerge in profonda meditazione. Mentre è preso a riflettere e pregare, un grosso orso molla due zampate al cavallo di Romeo, che senza scomporsi si avvicina all’orso, lo ammansisce e gli sale in groppa. Sarà a cavallo di quest’orso che Romeo scenderà a valle e si presenterà a Vigilio, terzo vescovo della diocesi di Trento. Nel 2010, in quella che oggi è chiamata la Valle di San Romedio, pare che l’orso lo volessero ancora; sicuramente lo voleva Marco Bertagnolli, ai tempi assessore di Sanzeno, che commentava: “Quando arriverà l’orso, faremo una grande festa in tutti i paesi del circondario.” Ma l’entusiasmo di Bertagnolli evidentemente non è condiviso da tutto lo spettro politico trentino se nel luglio del 2011 i NAS devono irrompere a Imer per fermare i banchetti di una sagra. Si tratta della festa di alcuni esponenti locali della Lega Nord che per manifestare a favore del rimpatrio degli orsi “sloveni” a casa loro, hanno pensato di importare carne di orso dalla Slovenia per offrire braciole d’orso ai sostenitori e al contempo significare, con un temerario rovesciamento burchiellesco, la loro contrarietà al progetto — peraltro di matrice europea — Life Ursus. La carne sarà sequestrata nonostante solo due giorni prima il senatore leghista Sergio Divina dichiarasse che fosse stata importata secondo le più stringenti norme sanitarie e aggiungesse che: “La gente di montagna, in questi ultimi anni, ha dovuto cambiare le abitudini di vita e comportamentali proprio per la paura dell’orso.”
Si scopre l’anno successivo che la gestione degli orsi è uno dei temi su cui si scontrano lo stato centrale e la Provincia Autonoma di Trento: nel 2012 il giornalista Robert Tosin ci informa che “è finita la luna di miele tra i trentini e gli orsi” e accodandosi all’allora presidente della PAT Lorenzo Dellai individua la radice dei problemi nel fatto che “il progetto Ursus di fatto è controllato da Roma tanto che esiste pendente un ricorso al Consiglio di Stato per un provvedimento adottato da Dellai in merito alla cattura di un orso”. Le cose vanno sempre più veloci: nel 2014 Monica Frassoni, co-presidente fino al 2019 del Partito Verde Europeo, deposita una denuncia alla Commissione Europea contro “il Ministero dell’Ambiente, la Provincia Autonoma di Trento e ogni altro organismo e/o ente pubblico la cui responsabilità dovesse sussistere”. La PAT è accusata di aver violato le direttive europee “per la protezione dell’orso bruno e per la conservazione degli habitat naturali”. A Palazzo Chigi siede ancora Matteo Renzi, ma sono gli ultimi singulti europeisti a difesa dell’orso. A marzo 2018 la Lega esce dalle elezioni nazionali con il miglior risultato di sempre e qualche mese dopo conquista anche il governo provinciale di Trento. A essere proclamato presidente della PAT il 3 novembre 2019 è Maurizio Fugatti, commercialista di Avio che, tra le altre cose, era tra i partecipanti della grigliata di braciole d’orso a Imer. Non passa molto tempo dall’insediamento del nuovo governo provinciale prima che la posizione della PAT sulla questione dell’orso cambi. Fugatti ha deciso di agire con mano ferma dove i suoi predecessori, Lorenzo Dellai e Ugo Rossi, si erano barcamenati tra dichiarazioni a favore di agricoltori e apicoltori e posizioni accomodanti verso associazioni ambientaliste e agenti del turismo. A gennaio 2019 l’assessora all’agricoltura, foreste, caccia e pesca Giulia Zanotelli cancella la presentazione del Rapporto Grandi Carnivori, che dal 2007 viene presentato annualmente al Museo delle Scienze di Trento. “La necessità di trovare una decisione che non metta in difficoltà il governo nazionale (dove all’anima leghista pronta agli abbattimenti si oppone l’anima pentastellata decisa a sostenere la tutela dei grandi carnivori) e che permetta di muoversi in Trentino con ‘disinvoltura’ deve essere stato l’argomento decisivo per cancellare la presentazione del rapporto. Perché probabilmente Fugatti e Zanotelli preferiscono tenere bassi i riflettori, non trovarsi di fronte ai numeri in pubblico” commenta in quei giorni Paolo Mantovan dal Trentino.
Maurizio Fugatti è circondato dai microfoni di numerosi emittenti locali. È la mattina del 15 luglio 2019. Alla sue spalle si staglia una rete elettrosaldata ed elettrificata ad alto voltaggio. 7000 volt, con scariche della durata di 100-300 milionesimi di secondo ogni 1,2 secondi. “Era impensabile una cosa di questo tipo, con questo soggetto è accaduto. Adesso siamo di nuovo alla ricerca. È chiaro che nel momento in cui si dovesse avvicinare a edifici abitati i forestali hanno il mandato di intervenire a vista. Anche prevedere l’abbattimento perché a questo punto qua la pericolosità è accertata” dichiara. Si parla di M49, un orso nato nel 2016 che da poco meno di un anno ha catturato l’attenzione politica e mediatica per aver condotto in Val Rendena sedici tentativi di effrazione in manufatti antropici, 40 uccisioni di animali tra mucche, cavalli, pecore e galline, ed infine alcuni incontri ravvicinati con l’uomo. È il prototipo dell’orso confidente o pericoloso, non teme l’uomo, le sue case e le sue tecnologie. Ha rotto finestre, abbattuto porte, scavalcato mura e addirittura scansato con agilità i colpi della carabina di un pastore che gli si era parato davanti. Catturato la mattina del 15 luglio, M49 fugge dopo nemmeno due ore, scavalcando la recinzione della prigione.
Quella fuga rocambolesca è la prova della convinzione più profonda di una parte della comunità trentina. Non si può convivere con gli orsi, vanno cercati, braccati, raggiunti, cacciati e infine uccisi. Dal 22 luglio sull’orso pende l’ordine di abbattimento, laddove lo si ritrovi in una situazione di pericolo per l’uomo. Nei mesi seguenti, però, la sua cattura si rivela un compito più difficile di quanto preventivato dalla Giunta leghista trentina. Mentre si susseguono gli avvistamenti e i forestali lo inseguono lui appare e scompare come una presenza spettrale. Sbuca sui versanti della Marzola, nel centro abitato di Mattarello e nel giardino di una pizzeria, per poi puntare verso Nord e sparire. Un mese dopo vengono rinvenute le sue tracce a Faedo, in provincia di Bolzano, ma M49 è introvabile. La sua fuga richiama l’attenzione nazionale e il Ministro dell’Ambiente, Sergio Costa, propone di battezzarlo Papillon, il soprannome del criminale e scrittore francese Henri Charrière. In Trentino intanto, al fianco degli animalisti, si creano nuovi sostenitori di M49, l’orso che è fuggito dal controllo dell’uomo e che sta ridicolizzando il governo provinciale. Tra le voci che inneggiano all’eroica fuga di Papillon troviamo Rovereto Violenta, Fronte Operaio per la Rivoluzione Socialista in Trentino, Trento alienation ッ, Gli ultrasuoni in S. Maria Maggiore: tutte pagine Facebook della sinistra giovanile trentina che celebrano quello che ormai è visto come lo scontro tra la scaltrezza di un giovane orso e l’ottusità dei rappresentanti della Lega trentina. Mentre la lotta della propaganda si consuma sulle sue gesta, M49 scompare di nuovo, fino a marzo 2020 quando viene avvistato a Molina di Fiemme. Ad aprile il comunicato numero 884 dell’Ufficio Stampa della PAT ha un tono che suona ormai scorato, recita: “Ora è possibile che l’animale rallenti gli spostamenti e frequenti con più assiduità la zona a lui nota. Le attività di cattura dell’orso in applicazione dell’ordinanza di rimozione, mai sospese pur risultando assai difficili su di un animale in costante e rapido spostamento, sono ora concentrate in tale area”. Sanno dove si trova (tra la Val di San Valentino e la Val Breguzzo), ma quest’orso sembra ormai guidato da forze superiori, quasi fosse un protetto del dio Quaoar. Un dio il cui pianeta era stato scoperto nella stessa notte del 2002 in cui un avo di M49 aveva commesso la prima predazione certificata di un capo di bestiame di proprietà degli uomini. Nessuno crede più di riuscire a catturarlo.
“M49 ha rilasciato la seguente dichiarazione: ‘Per quarantatré anni della mia vita cosciente sono rimasto un rivoluzionario; per quarantadue ho lottato sotto la bandiera del marxismo. Se dovessi ricominciare tutto dapprincipio, cercherei naturalmente di evitare questo o quell’errore, ma il corso della mia vita resterebbe sostanzialmente immutato. Morirò rivoluzionario proletario, da marxista, da materialista dialettico e quindi da ateo inconciliabile. La mia fede nell’avvenire comunista del genere umano non è meno ardente che nei giorni della mia giovinezza, anzi è ancora più salda.’ M49 LIBERO SUBITO”, cosìla pagina Fronte Operaio per la Rivoluzione Socialista in Trentino ha commentato la cattura di M49 avvenuta il 29 aprile 2020. Sembrava il tramonto di un ideale di libertà, il Convegno di Bologna della sinistra trentina. Dopo la cattura, M49 è stato tenuto sotto sorveglianza strettissima da una squadra di forestali. Vengono chieste consulenze a esperti, tra i quali spiccano i nomi di veterinari di fama internazionale come Djuro Huber e Frank Goeritz. Trasportato in una trappola tubo è stato reimmesso nel recinto del Casteller da cui era fuggito 289 giorni prima, un comprensorio composto di tre aree di circa 50 metri quadri l’una. Nelle settimane successive è stato castrato. Per aumentare la sicurezza i tecnici hanno limato le sbarre di cinta su cui M49 si era arrampicato per rendergli impossibile la fuga. Come ulteriore norma di sicurezza gli hanno stretto al collo un radiocollare che lo renderebbe rintracciabile se dovesse fuggire di nuovo. Nel corso dei mesi di maggio gli articoli del Trentino lo hanno descritto come mansueto e appagato al punto da titolare, il 6 maggio, “A M49 ora piace il parco del Casteller”.
Ma il 27 luglio 2020 Papillon è scappato di nuovo. Questa volta non si è arrampicato, ha divelto l’inferriata che lo separava dalla libertà ed è fuggito, ancora una volta, sulla Marzola. Di nuovo i feed, i notiziari, i giornali locali sono esplosi di notizie su M49. Di nuovo sono scoppiate grida di giubilo e invocazioni all’abbattimento. Il presidente della regione si è detto certo che i forestali potranno ricatturare l’orso celermente. È probabile che succeda, dal momento che l’orso ha il radiocollare.
Non resta che sperare che M49 punti a Nord, sempre più a Nord, che scavalchi le alpi e raggiunga il villaggio di Sachrang, in Baviera, dove è cresciuto l’uomo che meglio potrebbe raccontare la sua storia. Quell’uomo è Werner Herzog e scrutando M49 con il suo sguardo fisso da esistenzialista tedesco lo guarderebbe negli occhi e gli direbbe qualcosa del genere: “È come una maledizione che pesa sull’intero paesaggio. Chiunque ci si addentri ha la sua parte di questa maledizione, quindi siamo maledetti da ciò che stiamo facendo qui. È una terra che, se esiste, Dio ha creato con rabbia. Questa è l’unica terra in cui la creazione è ancora incompiuta. Se ci guardiamo intorno, c’è una sorta di armonia: è l’armonia travolgente dell’omicidio collettivo”.
FINE
Postfazione
I fatti descritti in questo reportage si fermano al 27 luglio 2020. Il testo è stato concluso il 29 luglio a Trento e letto pubblicamente il 30 luglio a Rovereto. Nel giro di un anno le storie degli orsi e degli uomini sono proseguite.
L’11 agosto 2020 la Provincia ordina la cattura dell’orsa JJ4, che ha aggredito due cacciatori per difendere i suoi cuccioli. Successive sentenze del Consiglio di Stato e del Tar vieteranno di confinare l’orsa, per preservare l’incolumità dei cuccioli. Il 7 settembre 2020, dopo 42 giorni di fuga, M49 è catturato sul Lagorai e condotto nuovamente al Casteller. Ad attenderlo ci sono M57, reo di aver aggredito un carabiniere in agosto, e l’orsa DJ3, rea di aver ucciso una pecora dieci anni prima. Nel settembre, i carabinieri forestali del CITES (il servizio forestale del Trentino è autonomo e dipendente dalla Provincia, mentre i carabinieri forestali sono un corpo nazionale) ispezionano il Casteller ed evidenziano forte stress psicofisico nei tre orsi.
Il 25 aprile 2021, DJ3 è trasferita all’Alternativer Bärenpark Worbis della Turingia e riceve il nome di Isa. Nel parco incontra Jurka, uno dei dieci orsi fondatori. Lei stessa è figlia di un’altra fondatrice, Daniza. Il 9 giugno i carabinieri forestali effettuano una seconda ispezione al Casteller. Il 26 giugno 2021 la giunta Fugatti definisce le nuove linee guida per la gestione degli orsi. Due sono le novità: l’eliminazione (opzione K) può essere attivata anche nei confronti di orsi che provocano danni al patrimonio e il cui comportamento non si corregge; per procedere con l’eliminazione è obbligatorio un parere dell’ISPRA, ma esso non ha più carattere vincolante. Si prevede poi la costruzione di altre due aree di contenimento. Comunicativamente è passato il messaggio di una linea di maggiore durezza nei confronti degli orsi, anche se poco è cambiato nella sostanza. Il primo luglio l’orso M62, fratello di M57, è stato sedato e radiocollarato a seguito di ripetute razzie di cassonetti nella zona di Andalo. Il 12 luglio l’orsa F43 è stata spaventata con cani da orso e pallottole di gomma e quindi sedata e radiocollarata a seguito di atteggiamenti di confidenza con gli umani, non ultimo il furto di fragole da una serra in Val Concei. A fine agosto cinque associazioni animaliste depositano tre ricorsi al TAR Trentino per la cancellazione delle nuove linee guida, definite “un intollerabile strumento di morte”.
Secondo l’annuale Rapporto Grandi Carnivori, pubblicato a fine aprile, nel 2020 sono nati 22-24 cuccioli, sono morti 2 esemplari (uccisi da altri orsi) ed è scomparso un cucciolo. La popolazione ha probabilmente superato i 100 orsi.
Nota degli autori
Il testo è una narrazione reportagistica. Le citazioni e i discorsi diretti in corsivo sono dichiarazioni ed estratti riportati su diverse testate locali (in particolare il Trentino, l’Adige e il Dolomiti). L’antefatto prende ispirazione da fatti reali ed è stato rivisto alla luce delle osservazioni di Andrea Mustoni, che era presente alla cattura di Masùn, ma è romanzato. L’ultimo paragrafo della quarta sezione, dove M49 incontra Werner Herzog, è puro frutto dell’immaginazione degli autori.
Desideriamo ringraziare Andrea Mustoni, biologo e responsabile dell’unità Ricerca scientifica ed educazione ambientale del Parco Adamello Brenta, che ci ha fornito un’attenta consulenza e il racconto in prima persona di alcuni dei fatti qui raccontati. Ci scusiamo con lui per averlo trattenuto lontano dai suoi boschi per qualche ora.
Ringraziamo, sentitamente, il Nuovo Cineforum Rovereto, per aver commissionato la scrittura e lettura dal vivo di “Storie di Orsi e Uomini” in occasione del festival Osvaldo 2020.
Io ho veduto degli orsi nel mio paese,
e non ho veduto degli uomini che nell’Eldorado.
(Voltaire, Candido, o l’ottimismo)
1. Antefatto
Due uomini parlottano a bassa voce in un fuoristrada mentre abbassano i giri del motore finché il rombo non si spegne nella notte. Sono anni che girano questi boschi, sono anni che imbracciano fucili, ma l’eccitazione della prima volta non è ancora consumata dall’esperienza. Anton Marincic e Marko Jonozovič sono fermi ai confini di una radura della riserva di caccia di Jelen-Sneznik; attorno a loro il silenzio del bosco è coperto solo dal frinire dei grilli. Lo sterrato alle loro spalle scricchiola mentre appaiono due fasci di luce che scorrono sugli abeti e sui faggi dinarici. È l’autocarro degli italiani. Marincic, un uomo nel vigore degli anni, dai tratti marcatamente slavi ma dai modi mediterranei, ripensa al primo incontro con quello strano gruppo. Si sono presentati qualche anno prima, pieni di progetti ambiziosi e di buoni propositi. Col tempo, si è sviluppato un rapporto di fiducia tra la sua équipe e quella italiana. Tra alcuni membri sono nate anche sincere amicizie. Ma il mattino dopo i sentimenti conteranno poco. Sarà un giorno decisivo in cui anni di preparazione daranno un esito secco: il successo o il fallimento. Potrà contare sulle sue forze? Avranno tutti la presenza di spirito necessaria? E, in fondo, perché porsi queste domande? Del resto tutto è frutto della mano dell’uomo, anche questa riserva, anche questa immensa distesa di alberi. Oggi sta all’uomo mantenere gli ecosistemi che lui stesso ha creato, o come dice Marincic: “l’uomo non può pretendere di proteggere la natura lasciandola agire liberamente”.
Il mattino dopo il bosco è avvolto da una luce accecante. Gli italiani sono tre: Andrea Mustoni, biologo, Edoardo Lattuada e Cristina Fraquelli, veterinari. Toccherà agli sloveni sparare. Le due équipe costeggiano il carnaio circolare, attraversano la radura e si rifugiano sulle altane che ne circondano il perimetro. Il sole è già alto quando si sentono i primi bramiti. Il laccio di Aldrich si è dimostrato, ancora una volta, uno strumento semplice e affidabile. Marincic stringe gli occhi per inquadrare meglio la scena. Vede l’orso divincolarsi mentre cerca di liberare il carpo superiore dalla trappola. Ormai non può più sfuggirgli. Insieme a Jonozovič scende dall’altana e, con passo calmo e il volto irrigidito dalla concentrazione, si avvicina. È grosso, ma non è lontanamente paragonabile al mastodonte che aveva incrociato a Medved-Kocevje. Si può fare. Guarda Jonozovič che è già pronto a sparare, ma con un gesto autorevole gli fa segno di aspettare. Imbraccia il fucile, misura il respiro ed esplode un colpo dal suo sparasiringhe. Mentre al suo sparo fa eco quello di Jonozovič, Marincic si rilassa e smette di controllare il respiro. Ora è tempo di tirare fuori lo spumante e brindare al successo.
L’orso pesa 99 chilogrammi, ha tra i tre e i quattro anni ed è in ottime condizioni di salute. Viene dichiarato idoneo per il trasferimento in Italia. Mentre Marincic versa il Brut nel bicchiere dei presenti e abbraccia i colleghi italiani, Jonozovič si ferma a riflettere sul suo collega. Ha un portamento austroungarico, quasi da personaggio rothiano, ma su quel substrato si sono posati i rivolgimenti politici del suo paese. Sul volto di Marincic si vedono i sedimenti della Jugoslavia di Tito e si legge il futuro della Slovenia come membro dell’Unione Europea. È un disallineato che non ha riserve nel collaborare con chiunque dimostri il suo amore e il suo rispetto per i boschi a cui ha dedicato la vita. Quel giorno è intimamente felice. L’orso andrà a ripopolare le montagne del Trentino. Questo è il destino di Masùn, l’animale che hanno preso quel giorno, e battezzato col nome della radura dov’è stato catturato. Sarà trasferito nella Val di Tovel, munito di collare radio e osservato finché non sarà accertata la riuscita della sua introduzione nell’habitat trentino. Questo è il destino che sarà condiviso da altri nove compagni.
2. Prologo, o di come Déodat Dolomieu scopre le Dolomiti mentre gli orsi iniziano a scomparire.
Sul finire del mese di giugno del 1750 nacque nel Delfinato il figlio del marchese di Gratet. Gli diedero il nome di Déodat e, il giorno del suo terzo compleanno, fu iscritto all’Ordine dei Cavalieri di Malta. Questa decisione comportava due cose: avrebbe fatto vita da militare e, facendo vita da militare, avrebbe viaggiato molto. Nel corso della sua carriera Déodat Guy Silvain Tancrède Gratet de Dolomieu, questo il suo nome completo, compirà studi di chimica e di scienze naturali per rivolgersi infine alla geologia. Il padre che lo avrebbe voluto generale del Re di Francia, gli concesse di dedicarsi agli studi universitari a patto che entrasse in servizio come cavaliere di Malta. Raggiunto questo compromesso, de Dolomieu iniziò a viaggiare interessandosi più al salnitro della Bretagna, all’arsenopirite del Portogallo e al granito dei Pirenei che non al mestiere delle armi. Infine si congedò per dedicarsi solo alla scienza e fuggì in Italia. Qui si calò nell’Etna, descrisse con precisione mai raggiunta prima gli effetti dei terremoti e la resistenza delle abitazioni alle onde sismiche. Nel 1789, mentre sedeva in un’osteria di Roma, lo raggiunse una lettera in cui gli veniva data una funebre notizia: quasi tutti i suoi parenti erano caduti vittime dei primi moti della Rivoluzione. In quegli stessi anni, un’altra Rivoluzione, quella industriale, sta muovendo i suoi primi passi e con essa la deforestazione. Alcuni mesi dopo la morte dei parenti, Dolomieu è tra le Alpi del Tirolo — ai tempi dette Monti Pallidi — e mentre passa per l’Alpe di Siusi riconosce un genere di roccia calcarea che aveva già notato in alcuni palazzi di Roma. Gli abitanti del posto la chiamano “occhio di gatto”, la curiosità scientifica di Dolomieu lo porta a sottoporla a diversi esami chimici: scoprirà che quel minerale è fosforescente per collisione e quasi inerte agli acidi; ne invierà dei campioni al collega svizzero Nicolas Théodore de Saussure. Fu Saussure, in una lettera del 1792, a dare a quello strano minerale il nome di dolomia. Bisognerà aspettare fino al 1918 perché il nome del minerale battezzi anche parte delle Alpi orientali italiane.
Intanto Dolomieu torna in Francia, tenta di rincasare nel castello del padre, ma si ritrova spogliato di ogni possedimento. Per vivere comincia ad insegnare, fa una carriera fulminea e diventa Ingegnere minerario all’École nationale supérieure de mines. Ormai prossimo alla pensione, viene convinto da un amico chimico ad imbarcarsi per una destinazione segreta, una Eldorado di minerali mai studiati prima. Il 19 maggio 1798, a Tolone, sale su una delle 300 navi da guerra sotto il comando del Primo Console, Napoleone Bonaparte. Arrivato in Egitto, sopravvive a innumerevoli scontri a fuoco, ma non riesce a concentrarsi sugli studi; troppo preso a salvarsi la vita. Sulla via del ritorno naufraga poco lontano dalle coste della Calabria, viene preso prigioniero dall’Ordine di Malta, che aveva disertato anni prima. La prigionia dura due anni, interamente trascorsi nelle carceri di Messina. A salvarlo è Napoleone. Quando conquista l’Italia e cede il Regno di Napoli ai Borbone, il Primo Console fa scrivere in una clausola che Dolomieu sia liberato. Malato, provato dalla prigionia e dalle torture ripara dall’unico parente in vita, una sorella nascosta tra le Alpi del Delfinato. Qui muore poco dopo, trascrivendo la sua ultima opera. Negli stessi anni in cui Dolomieu ha attraversato la Terra e negli stessi luoghi dove ha scoperto la dolomia, sono attestate le prime estinzioni locali di una specie animale che ha convissuto con l’uomo almeno mezzo milione di anni e che ha le sue origini nel Pleistocene, l’ ursus arctos o orso bruno. Durante la primavera del 1790, quella in cui venne scoperta la dolomia, gli orsi scompaiono definitivamente dalla Val Pusteria.
Duecento anni dopo, l’orso bruno è quasi scomparso da tutto il Nord Italia, gli ultimi membri, che naturalisti e scienziati contemporanei hanno significativamente battezzato “popolazione relitta”, sono stati avvistati a nord e a est delle Dolomiti di Brenta. I relitti sono isolati dagli altri orsi dell’arco alpino orientale. Nel 1996 viene avviato un progetto per la tutela dell’orso bruno. Il progetto si chiama Life Ursus, è promosso dal Parco Naturale Adamello Brenta in collaborazione con la Provincia Autonoma di Trento e l’Istituto Superiore per la Ricerca Ambientale (ISPRA) e finanziato dall’Unione Europea. Nel 1997, gli scienziati coinvolti nello studio di fattibilità del Progetto Life Ursus confermano l’estinzione biologica dell’orso trentino: sono rimasti tre esemplari, ormai troppo vecchi per riprodursi.
È qui che nella primavera del 1999, in una radura dell’Alta Val di Tovel, da un Iveco Daily scende un giovane orso che scoppia di salute. Si chiama Masùn e arriva da una radura slovena dove è stato catturato qualche ora prima. A lui seguiranno Kirka, Daniza, Jože, Irma, Jurka, Vida, Gasper, Brenta e Maja. Questi dieci orsi saranno chiamati, dai responsabili del Parco Naturale Adamello Brenta, i fondatori.
3. Di come una minima popolazione di umani ha deciso il ritorno di una minima popolazione di orsi.
Nel torrido agosto 1997, il centro indagini dell’Istituto per le Ricerche e l’Analisi dell’Opinione Pubblica di Milano fa suonare 1512 telefoni tra la popolazione dell’area interessata al progetto di reintroduzione dell’orso bruno. Si tratta del sondaggio numero 97085C condotto dall’Istituto, il titolo è “Opinioni ed atteggiamenti nei confronti dell’orso nel Parco Naturale Adamello-Brenta”. I 1436 rispondenti non sono una riproduzione in scala degli abitanti dell’area, il campione è stato modificato per dare maggior peso ad alcuni soggetti: in particolare apicoltori, agricoltori e cacciatori. Nelle maglie del campionamento finisce anche Andrea Mustoni, coordinatore di Life Ursus che, credendosi vittima di uno scherzo telefonico, risponde al sondaggio fingendosi fortemente contrario alla reintroduzione dell’orso.
Con l’eccezione di Mustoni, le persone dicono sì, in massa, alla reintroduzione dell’orso. In Trentino poi, e nella zona del Brenta ancora di più, gli abitanti conoscono bene la condizione dell’orso e la sua ormai prossima estinzione e allo stesso tempo si dicono consapevoli dei rischi connessi al ritorno del più grande carnivoro d’Europa. Una sola risposta alle 23 domande formulate lascia intravedere un’increspatura: si rileva un significativo aumento del favore alla reintroduzione degli orsi se vengono garantiti interventi preventivi per gli “orsi problematici”. Un orso viene definito problematico se provoca danni, o è protagonista di interazioni uomo-orso con una frequenza tale da creare problemi economici o sociali e richiedere un immediato intervento risolutivo. L’orso lo vogliamo, ma con un radiocollare trasmittente.
L’opinione pubblica rimane quieta fino al 2002, quando avviene il primo “fatto di sangue” legato al progetto di reintroduzione. Nella notte tra il 3 e il 4 giugno succedono due cose, una in cielo e una in terra. Il telescopio della CalTech di Los Angeles avvista un oggetto transnettuniano grande come un terzo della Luna. Il planetoide viene ribattezzato Quaoar, come il Dio dei nativi Tongva che avrebbe creato gli animali e le piante danzando perché afflitto dal vuoto dell’esistenza. Poche ore dopo, nel comune di Ronzo-Chienis in Val di Gresta un orso — che secondo le ricostruzioni della scientifica potrebbe essere Masùn, Jože o Daniza — entra in una porcilaia e sbrana una scrofa e sei maialini. I giornali cominciano a discutere della possibilità del rimpatrio immediato degli orsi sloveni e la Giunta provinciale chiede che l’Istituto per le Ricerche e l’Analisi dell’Opinione Pubblica di Milano prepari una nuova indagine entro il 2003. La nuova ricerca, numerata S03150C e intitolata “Indagine conoscitiva sull’accettazione dell’orso nella Provincia di Trento”, rivela che i duemila trentini, intervistati con il criterio della randomization, conoscono il progetto Life Ursus, ne apprezzano gli obiettivi e la stragrande maggioranza correrebbe a votare favorevolmente se venisse chiesto “lei è favorevole o contrario alla permanenza degli orsi in Trentino.” Nessuno riporta gli orsi in Slovenia, restano in quella che ormai è casa loro. Negli stessi mesi il parco del Brenta effettua un’indagine tra una popolazione di potenziali turisti italiani: la permanenza dell’orso sarebbe, secondo un’altra piccola-grande maggioranza, una ragione decisiva per scegliere il parco come luogo dove passare le vacanze a fare trekking, rafting e mountain biking.
Passano nove anni e il Servizio Foreste e Faune della Provincia Autonoma dispone una nuova indagine demoscopica che sia “comparabile a quelle del 1997 e 2002”. Se simile nelle domande, questa terza ricerca è però completamente diversa dalle precedenti negli esiti. Innanzitutto, non è commissionata al famoso istituto di Milano, ma viene condotta dalla società a responsabilità limitata OGP pubblicità, con sede a Trento. Ma soprattutto, l’indagine scompare. Viene commissionata e condotta, i risultati arrivano all’amministrazione provinciale già nel marzo del 2011, ma non vengono comunicati. Nel settembre, un consigliere dell’opposizione presenta l’interrogazione 3043 dal titolo “E la consulenza sulla presenza dell’orso che fine ha fatto?”, sostenendo che l’amministrazione stia nascondendo la verità, ovvero che i trentini degli orsi ne hanno abbastanza. Solo a questo punto il presidente Lorenzo Dellai gli risponde riassumendo i risultati. Sembra vero, ora solo il 30% dei rispondenti si dice favorevole alla presenza dell’orso e la maggioranza chiede che i plantigradi si stabilizzino demograficamente. Al netto del riassunto riportato dal presidente della PAT, lo studio ad oggi è introvabile, e non sapremo mai se fu un’errata formulazione delle domande, una impropria costruzione del campione statistico o il sentimento dei trentini, particolarmente insofferente in quei giorni, a creare questa anomalia.
L’obiettivo del progetto di reintroduzione Life Ursus era che gli orsi bruni tornassero in Trentino. Si era deciso che l’orso sarebbe dovuto tornare come MPV, ovvero Minima Popolazione Vitale. Una MPV è una popolazione che ha alte probabilità di sopravvivere entro un termine ragionevole di tempo, diciamo un 99% in un lasso di 40 generazioni di orsi bruni, ovvero 1000 anni. Per divenire vitale, una minima popolazione deve raggiungere tre obiettivi. In primo luogo, deve essere demograficamente in grado di sopravvivere a cali asistematici di fertilità. In secondo luogo, deve evitare consanguineità, che è causa di malattie genetiche tali da portare all’estinzione entro alcune generazioni. Infine, deve sviluppare capacità di resilienza a fattori esterni, ovvero deve essere in grado di sopravvivere a eventi quali la scomparsa di interi boschi o l’ostilità umana. Al successo nella creazione di una MPV si lega l’area di reintroduzione. L’ MPC, il Minimo Poligono Convesso, è la superficie vitale occupata da un orso, detta anche home range. La dimensione di MPC dipende dalla qualità dell’area in cui gli animali vengono immessi. La combinazione tra lo spazio disponibile adatto alla vita dell’orso nell’area del Trentino e le necessità di raggiungere una MPV ha portato ad indicare in 50 orsi la popolazione minima.
Della popolazione dei fondatori e dei suoi discendenti sappiamo quasi tutto. Se nel mondo esistono circa 200 mila orsi bruni, gli orsi della popolazione trentina sono esposti ad un’attenzione e ad una cura paragonabile ai progetti pilota di terraformazione di Marte o della Luna, in cui team di poche decine di volontari vengono studiati in ogni dettaglio per anni.
Gli orsi non sono solo seguiti in alcuni casi con radiocollari, marche trasmittenti e rilevatori di mortalità, sono poi indirettamente tracciati con foto trappole, trappole per il pelo e prelievi di feci con successiva analisi genetica e organica. Quando sono catturati perché problematici, o curati perché feriti, vengono studiati come se fossero in laboratorio. L’enorme mole di dati raccolti dal Servizio Foreste e Faune confluisce ogni anno in un Rapporto sui Grandi Carnivori della Provincia Autonoma e viene utilizzato da ricercatori per rispondere a domande scientifiche e gestionali di grande complessità. Alcune tesi di laurea si sono occupate di valutare se la dispersione dell’orso dalla core area delle Dolomiti di Brenta sia dovuta alla densità degli orsi presenti. In altre parole, ci si è chiesti se gli orsi comincino a stare stretti e si stiano muovendo sempre di più in cerca di spazio vitale. L’analisi dei dati georeferenziati ha dimostrato l’assenza di una correlazione tra densità e mobilità. La distinzione rilevante che va considerata è tra femmine e maschi: le prime sono filopatride, ovvero tendono a rimanere costantemente nell’area dove sono nate o dove tendono a riprodursi; i secondi invece tendono a coprire maggiori distanze, principalmente per cercare nuove femmine con cui riprodursi. Considerato questo fattore, gli studi effettuati sembrano indicare che lo spazio disponibile nel Brenta non sia finito e che quindi la popolazione potrebbe anche aumentare.
4. Svolgimento, come gli orsi si sono rapidamente moltiplicati o di come la politica e i media, quando parlano di orsi, fanno il gioco dell’uomo.
Nel 1945, il CLN fonda quello che rimane il più diffuso quotidiano atesino: oggi si chiama Trentino in provincia di Trento e Alto Adige in provincia di Bolzano. È dalle colonne di questo giornale che leggiamo di come gli orsi lentamente iniziano a moltiplicarsi, alcuni uomini ne gioiscano mentre altri iniziano ad averne paura. Una sera primaverile del 2008 i guardacaccia del Cantone svizzero dei Grigioni spianano i fucili per eliminare JJ3, uno dei discendenti di Jurka, che si è imprudentemente spinto fino ai boschi di Lenzerheide. “Bum, bum. JJ3 è morto così, seguendo il triste destino del fratello maggiore Bruno, ucciso a fucilate in Baviera nel giugno del 2006” si legge nell’edizione del 16 aprile 2008. L’articolo è permeato di un certo rammarico per l’uccisione dell’orso nato in Trentino, ancora nessuno però teme l’orso. Ancora nessuno vuole che venga eliminato. E nemmeno lo temeva 1600 anni prima un tale Romeo o Remit o Romedio, un nobile di origini tirolesi che, dopo essersi recato a Roma in pellegrinaggio, stava tornando a Thaur, dove era nato. Stanco, Romeo si inerpica su un pinnacolo di roccia — dire stanco nel V secolo non è dire stanco nel XXI secolo —dove si immerge in profonda meditazione. Mentre è preso a riflettere e pregare, un grosso orso molla due zampate al cavallo di Romeo, che senza scomporsi si avvicina all’orso, lo ammansisce e gli sale in groppa. Sarà a cavallo di quest’orso che Romeo scenderà a valle e si presenterà a Vigilio, terzo vescovo della diocesi di Trento. Nel 2010, in quella che oggi è chiamata la Valle di San Romedio, pare che l’orso lo volessero ancora; sicuramente lo voleva Marco Bertagnolli, ai tempi assessore di Sanzeno, che commentava: “Quando arriverà l’orso, faremo una grande festa in tutti i paesi del circondario.” Ma l’entusiasmo di Bertagnolli evidentemente non è condiviso da tutto lo spettro politico trentino se nel luglio del 2011 i NAS devono irrompere a Imer per fermare i banchetti di una sagra. Si tratta della festa di alcuni esponenti locali della Lega Nord che per manifestare a favore del rimpatrio degli orsi “sloveni” a casa loro, hanno pensato di importare carne di orso dalla Slovenia per offrire braciole d’orso ai sostenitori e al contempo significare, con un temerario rovesciamento burchiellesco, la loro contrarietà al progetto — peraltro di matrice europea — Life Ursus. La carne sarà sequestrata nonostante solo due giorni prima il senatore leghista Sergio Divina dichiarasse che fosse stata importata secondo le più stringenti norme sanitarie e aggiungesse che: “La gente di montagna, in questi ultimi anni, ha dovuto cambiare le abitudini di vita e comportamentali proprio per la paura dell’orso.”
Si scopre l’anno successivo che la gestione degli orsi è uno dei temi su cui si scontrano lo stato centrale e la Provincia Autonoma di Trento: nel 2012 il giornalista Robert Tosin ci informa che “è finita la luna di miele tra i trentini e gli orsi” e accodandosi all’allora presidente della PAT Lorenzo Dellai individua la radice dei problemi nel fatto che “il progetto Ursus di fatto è controllato da Roma tanto che esiste pendente un ricorso al Consiglio di Stato per un provvedimento adottato da Dellai in merito alla cattura di un orso”. Le cose vanno sempre più veloci: nel 2014 Monica Frassoni, co-presidente fino al 2019 del Partito Verde Europeo, deposita una denuncia alla Commissione Europea contro “il Ministero dell’Ambiente, la Provincia Autonoma di Trento e ogni altro organismo e/o ente pubblico la cui responsabilità dovesse sussistere”. La PAT è accusata di aver violato le direttive europee “per la protezione dell’orso bruno e per la conservazione degli habitat naturali”. A Palazzo Chigi siede ancora Matteo Renzi, ma sono gli ultimi singulti europeisti a difesa dell’orso. A marzo 2018 la Lega esce dalle elezioni nazionali con il miglior risultato di sempre e qualche mese dopo conquista anche il governo provinciale di Trento. A essere proclamato presidente della PAT il 3 novembre 2019 è Maurizio Fugatti, commercialista di Avio che, tra le altre cose, era tra i partecipanti della grigliata di braciole d’orso a Imer. Non passa molto tempo dall’insediamento del nuovo governo provinciale prima che la posizione della PAT sulla questione dell’orso cambi. Fugatti ha deciso di agire con mano ferma dove i suoi predecessori, Lorenzo Dellai e Ugo Rossi, si erano barcamenati tra dichiarazioni a favore di agricoltori e apicoltori e posizioni accomodanti verso associazioni ambientaliste e agenti del turismo. A gennaio 2019 l’assessora all’agricoltura, foreste, caccia e pesca Giulia Zanotelli cancella la presentazione del Rapporto Grandi Carnivori, che dal 2007 viene presentato annualmente al Museo delle Scienze di Trento. “La necessità di trovare una decisione che non metta in difficoltà il governo nazionale (dove all’anima leghista pronta agli abbattimenti si oppone l’anima pentastellata decisa a sostenere la tutela dei grandi carnivori) e che permetta di muoversi in Trentino con ‘disinvoltura’ deve essere stato l’argomento decisivo per cancellare la presentazione del rapporto. Perché probabilmente Fugatti e Zanotelli preferiscono tenere bassi i riflettori, non trovarsi di fronte ai numeri in pubblico” commenta in quei giorni Paolo Mantovan dal Trentino.
Maurizio Fugatti è circondato dai microfoni di numerosi emittenti locali. È la mattina del 15 luglio 2019. Alla sue spalle si staglia una rete elettrosaldata ed elettrificata ad alto voltaggio. 7000 volt, con scariche della durata di 100-300 milionesimi di secondo ogni 1,2 secondi. “Era impensabile una cosa di questo tipo, con questo soggetto è accaduto. Adesso siamo di nuovo alla ricerca. È chiaro che nel momento in cui si dovesse avvicinare a edifici abitati i forestali hanno il mandato di intervenire a vista. Anche prevedere l’abbattimento perché a questo punto qua la pericolosità è accertata” dichiara. Si parla di M49, un orso nato nel 2016 che da poco meno di un anno ha catturato l’attenzione politica e mediatica per aver condotto in Val Rendena sedici tentativi di effrazione in manufatti antropici, 40 uccisioni di animali tra mucche, cavalli, pecore e galline, ed infine alcuni incontri ravvicinati con l’uomo. È il prototipo dell’orso confidente o pericoloso, non teme l’uomo, le sue case e le sue tecnologie. Ha rotto finestre, abbattuto porte, scavalcato mura e addirittura scansato con agilità i colpi della carabina di un pastore che gli si era parato davanti. Catturato la mattina del 15 luglio, M49 fugge dopo nemmeno due ore, scavalcando la recinzione della prigione.
Quella fuga rocambolesca è la prova della convinzione più profonda di una parte della comunità trentina. Non si può convivere con gli orsi, vanno cercati, braccati, raggiunti, cacciati e infine uccisi. Dal 22 luglio sull’orso pende l’ordine di abbattimento, laddove lo si ritrovi in una situazione di pericolo per l’uomo. Nei mesi seguenti, però, la sua cattura si rivela un compito più difficile di quanto preventivato dalla Giunta leghista trentina. Mentre si susseguono gli avvistamenti e i forestali lo inseguono lui appare e scompare come una presenza spettrale. Sbuca sui versanti della Marzola, nel centro abitato di Mattarello e nel giardino di una pizzeria, per poi puntare verso Nord e sparire. Un mese dopo vengono rinvenute le sue tracce a Faedo, in provincia di Bolzano, ma M49 è introvabile. La sua fuga richiama l’attenzione nazionale e il Ministro dell’Ambiente, Sergio Costa, propone di battezzarlo Papillon, il soprannome del criminale e scrittore francese Henri Charrière. In Trentino intanto, al fianco degli animalisti, si creano nuovi sostenitori di M49, l’orso che è fuggito dal controllo dell’uomo e che sta ridicolizzando il governo provinciale. Tra le voci che inneggiano all’eroica fuga di Papillon troviamo Rovereto Violenta, Fronte Operaio per la Rivoluzione Socialista in Trentino, Trento alienation ッ, Gli ultrasuoni in S. Maria Maggiore: tutte pagine Facebook della sinistra giovanile trentina che celebrano quello che ormai è visto come lo scontro tra la scaltrezza di un giovane orso e l’ottusità dei rappresentanti della Lega trentina. Mentre la lotta della propaganda si consuma sulle sue gesta, M49 scompare di nuovo, fino a marzo 2020 quando viene avvistato a Molina di Fiemme. Ad aprile il comunicato numero 884 dell’Ufficio Stampa della PAT ha un tono che suona ormai scorato, recita: “Ora è possibile che l’animale rallenti gli spostamenti e frequenti con più assiduità la zona a lui nota. Le attività di cattura dell’orso in applicazione dell’ordinanza di rimozione, mai sospese pur risultando assai difficili su di un animale in costante e rapido spostamento, sono ora concentrate in tale area”. Sanno dove si trova (tra la Val di San Valentino e la Val Breguzzo), ma quest’orso sembra ormai guidato da forze superiori, quasi fosse un protetto del dio Quaoar. Un dio il cui pianeta era stato scoperto nella stessa notte del 2002 in cui un avo di M49 aveva commesso la prima predazione certificata di un capo di bestiame di proprietà degli uomini. Nessuno crede più di riuscire a catturarlo.
“M49 ha rilasciato la seguente dichiarazione: ‘Per quarantatré anni della mia vita cosciente sono rimasto un rivoluzionario; per quarantadue ho lottato sotto la bandiera del marxismo. Se dovessi ricominciare tutto dapprincipio, cercherei naturalmente di evitare questo o quell’errore, ma il corso della mia vita resterebbe sostanzialmente immutato. Morirò rivoluzionario proletario, da marxista, da materialista dialettico e quindi da ateo inconciliabile. La mia fede nell’avvenire comunista del genere umano non è meno ardente che nei giorni della mia giovinezza, anzi è ancora più salda.’ M49 LIBERO SUBITO”, cosìla pagina Fronte Operaio per la Rivoluzione Socialista in Trentino ha commentato la cattura di M49 avvenuta il 29 aprile 2020. Sembrava il tramonto di un ideale di libertà, il Convegno di Bologna della sinistra trentina. Dopo la cattura, M49 è stato tenuto sotto sorveglianza strettissima da una squadra di forestali. Vengono chieste consulenze a esperti, tra i quali spiccano i nomi di veterinari di fama internazionale come Djuro Huber e Frank Goeritz. Trasportato in una trappola tubo è stato reimmesso nel recinto del Casteller da cui era fuggito 289 giorni prima, un comprensorio composto di tre aree di circa 50 metri quadri l’una. Nelle settimane successive è stato castrato. Per aumentare la sicurezza i tecnici hanno limato le sbarre di cinta su cui M49 si era arrampicato per rendergli impossibile la fuga. Come ulteriore norma di sicurezza gli hanno stretto al collo un radiocollare che lo renderebbe rintracciabile se dovesse fuggire di nuovo. Nel corso dei mesi di maggio gli articoli del Trentino lo hanno descritto come mansueto e appagato al punto da titolare, il 6 maggio, “A M49 ora piace il parco del Casteller”.
Ma il 27 luglio 2020 Papillon è scappato di nuovo. Questa volta non si è arrampicato, ha divelto l’inferriata che lo separava dalla libertà ed è fuggito, ancora una volta, sulla Marzola. Di nuovo i feed, i notiziari, i giornali locali sono esplosi di notizie su M49. Di nuovo sono scoppiate grida di giubilo e invocazioni all’abbattimento. Il presidente della regione si è detto certo che i forestali potranno ricatturare l’orso celermente. È probabile che succeda, dal momento che l’orso ha il radiocollare.
Non resta che sperare che M49 punti a Nord, sempre più a Nord, che scavalchi le alpi e raggiunga il villaggio di Sachrang, in Baviera, dove è cresciuto l’uomo che meglio potrebbe raccontare la sua storia. Quell’uomo è Werner Herzog e scrutando M49 con il suo sguardo fisso da esistenzialista tedesco lo guarderebbe negli occhi e gli direbbe qualcosa del genere: “È come una maledizione che pesa sull’intero paesaggio. Chiunque ci si addentri ha la sua parte di questa maledizione, quindi siamo maledetti da ciò che stiamo facendo qui. È una terra che, se esiste, Dio ha creato con rabbia. Questa è l’unica terra in cui la creazione è ancora incompiuta. Se ci guardiamo intorno, c’è una sorta di armonia: è l’armonia travolgente dell’omicidio collettivo”.
FINE
Postfazione
I fatti descritti in questo reportage si fermano al 27 luglio 2020. Il testo è stato concluso il 29 luglio a Trento e letto pubblicamente il 30 luglio a Rovereto. Nel giro di un anno le storie degli orsi e degli uomini sono proseguite.
L’11 agosto 2020 la Provincia ordina la cattura dell’orsa JJ4, che ha aggredito due cacciatori per difendere i suoi cuccioli. Successive sentenze del Consiglio di Stato e del Tar vieteranno di confinare l’orsa, per preservare l’incolumità dei cuccioli. Il 7 settembre 2020, dopo 42 giorni di fuga, M49 è catturato sul Lagorai e condotto nuovamente al Casteller. Ad attenderlo ci sono M57, reo di aver aggredito un carabiniere in agosto, e l’orsa DJ3, rea di aver ucciso una pecora dieci anni prima. Nel settembre, i carabinieri forestali del CITES (il servizio forestale del Trentino è autonomo e dipendente dalla Provincia, mentre i carabinieri forestali sono un corpo nazionale) ispezionano il Casteller ed evidenziano forte stress psicofisico nei tre orsi.
Il 25 aprile 2021, DJ3 è trasferita all’Alternativer Bärenpark Worbis della Turingia e riceve il nome di Isa. Nel parco incontra Jurka, uno dei dieci orsi fondatori. Lei stessa è figlia di un’altra fondatrice, Daniza. Il 9 giugno i carabinieri forestali effettuano una seconda ispezione al Casteller. Il 26 giugno 2021 la giunta Fugatti definisce le nuove linee guida per la gestione degli orsi. Due sono le novità: l’eliminazione (opzione K) può essere attivata anche nei confronti di orsi che provocano danni al patrimonio e il cui comportamento non si corregge; per procedere con l’eliminazione è obbligatorio un parere dell’ISPRA, ma esso non ha più carattere vincolante. Si prevede poi la costruzione di altre due aree di contenimento. Comunicativamente è passato il messaggio di una linea di maggiore durezza nei confronti degli orsi, anche se poco è cambiato nella sostanza. Il primo luglio l’orso M62, fratello di M57, è stato sedato e radiocollarato a seguito di ripetute razzie di cassonetti nella zona di Andalo. Il 12 luglio l’orsa F43 è stata spaventata con cani da orso e pallottole di gomma e quindi sedata e radiocollarata a seguito di atteggiamenti di confidenza con gli umani, non ultimo il furto di fragole da una serra in Val Concei. A fine agosto cinque associazioni animaliste depositano tre ricorsi al TAR Trentino per la cancellazione delle nuove linee guida, definite “un intollerabile strumento di morte”.
Secondo l’annuale Rapporto Grandi Carnivori, pubblicato a fine aprile, nel 2020 sono nati 22-24 cuccioli, sono morti 2 esemplari (uccisi da altri orsi) ed è scomparso un cucciolo. La popolazione ha probabilmente superato i 100 orsi.
Nota degli autori
Il testo è una narrazione reportagistica. Le citazioni e i discorsi diretti in corsivo sono dichiarazioni ed estratti riportati su diverse testate locali (in particolare il Trentino, l’Adige e il Dolomiti). L’antefatto prende ispirazione da fatti reali ed è stato rivisto alla luce delle osservazioni di Andrea Mustoni, che era presente alla cattura di Masùn, ma è romanzato. L’ultimo paragrafo della quarta sezione, dove M49 incontra Werner Herzog, è puro frutto dell’immaginazione degli autori.
Desideriamo ringraziare Andrea Mustoni, biologo e responsabile dell’unità Ricerca scientifica ed educazione ambientale del Parco Adamello Brenta, che ci ha fornito un’attenta consulenza e il racconto in prima persona di alcuni dei fatti qui raccontati. Ci scusiamo con lui per averlo trattenuto lontano dai suoi boschi per qualche ora.
Ringraziamo, sentitamente, il Nuovo Cineforum Rovereto, per aver commissionato la scrittura e lettura dal vivo di “Storie di Orsi e Uomini” in occasione del festival Osvaldo 2020.